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Associazione Archès

La “Centopietre” a Patù

di Associazione Archès

Alle porte di Patù

Alla periferia orientale di Patù è possibile ammirare, nei pressi della Chiesa di San Giovanni Battista, una costruzione molto particolare e massiccia: si tratta della famosa “Centopietre”. A dispetto del nome, i poderosi blocchi di pietra non sono cento ma di meno, in parte disposti a formare i muri e in parte un tetto a doppio spiovente. Si tratta di materiale lapideo di reimpiego, e poiché ne troviamo altri nella chiesa di S. Pietro a Giuliano di Lecce, con tutta probabilità esso doveva provenire da un tempio presente nella sovrastante serra, a Vereto.

Fig. 1. Chiesa di San Giovanni Battista vista dalla Centopietre.

L’interno dell’edificio è separato in due ambienti nel senso della lunghezza: cinque piedritti (due colonne e tre pilastri) sorreggono un’architrave, che è la struttura su cui poggiano i conci degli spioventi, formata da blocchi con incisi dei triglifi.

Fig. 2. Centopietre vista dalla Chiesa di San Giovanni Battista.

A quando risale?

La commistione di elementi di epoche passate ha sollevato la questione della corretta datazione negli studiosi dall’Ottocento in poi: si trattava di un monumento preistorico, messapico o di epoca più tarda?

Oggi gli studiosi affermano con certezza che si tratta di un monumento funebre di epoca medievale che riutilizza elementi messapici. Infatti, in seguito ad una campagna di scavi che l’architetto Adriano Prandi ha condotto nel 1950 all’interno e nell’area immediatamente intorno all’esterno della “Centopietre”, sono state rinvenute delle tombe all’interno delle quali i corpi deposti avevano lo sguardo rivolto ad est. Sebbene quei dati archeologici fossero molto lacunosi e a tratti imprecisi, si può affermare ancora oggi che questa costruzione nasca come sacello funerario per accogliere un personaggio facoltoso e tutta la sua famiglia in un’area già destinata come cimitero. Si trattava senz’altro di un personaggio ricco o di ruolo sociale elevato, appartenente o all’aristocrazia o al clero.

Fig. 3. Tombe scavate nel banco di roccia nell’attiguo fondo loc. Camporè.

Tra leggenda e storia

Del resto, una leggenda molto fantasiosa vuole che qui sia stato seppellito, il 24 giugno dell’877 un cavaliere di nome Germiniano (o Giminiano). Si stava profilando uno scontro tra le truppe del re carolingio Carlo e i Saraceni, interessati a conquistare il Capo di Leuca. Prima dello scontro, Germinano venne inviato, secondo i codici cavallereschi dell’epoca, a perorare un’ultima volta la pace ma venne imprigionato e barbaramente ucciso. Ciò scatenò l’ira dei Cristiani i quali, presi dalla furia di vendetta, non solo sconfissero duramente i nemici ma una volta recuperato il corpo lo seppellirono erigendo un monumento funebre così importante per onorarne la memoria.

La leggenda vuole anche che le spoglie di Giminiano furono riportate in seguito nel suo Paese d’origine, la Francia.

Il ciclo di affreschi

Vale la pena osservare quanto ancora si conserva sulle pareti interne, che riportano degli affreschi risalenti allo “scorcio del XII secolo” (datazione attribuita dalla professoressa di storia dell’arte medievale Marina Falla Castelfranchi). Nonostante l’umidità e gli agenti atmosferici degradino lentamente i colori e i tratti, anno dopo anno, si notano ancora la sagoma dei santi affrescati sulla parete occidentale.

Emergono le figure, più o meno nitide, di ben tredici santi, rappresentati eretti e frontalmente, iscritte in nicchie con colonne decorate come per imitare il marmo colorato e ricche di dettagli architettonici. Alle loro spalle doveva esserci pure un velario continuo che si fermava all’altezza delle ginocchia e di cui rimangono chiaramente le decorazioni dell’orlo tra la quinta, la sesta e la settima figura. La parte più bassa della zoccolatura è invece completamente scomparsa.

Fig. 4. San Giuliano sulla parete orientale.

Tra i primi tre, il solo riconoscibile con certezza è San Giuliano giovane, rappresentato con vesti riccamente decorate a losanghe secondo gli stilemi della moda bizantina (fig. 4). Ad essi segue un gruppo di cinque santi con barba che sono molto probabilmente vescovi poiché raffigurati nella quasi totalità con un libro in mano, il loro attributo convenzionale (Fig. 5, 6).

Fig. 5. Santi vescovi.

Fig. 6. Santo vescovo. 

A loro seguono delle figure femminili: Santa Barbara, Santa Margherita e S. Anna col bambino in grembo (Fig. 7).

Fig. 7. Santa donna.

Purtroppo in altre zone gli affreschi sono scomparsi del tutto, rimangono delle tracce di colore prive di qualsiasi connotazione. L’unica porzione dove ancora si conserva qualcosa è da ricercare nella parete di fondo, che ripropone una scena di S. Giorgio e il drago – poiché nella parte inferiore sembra di scorgere la coda – e di una Crocifissione: in particolare, si scorge il busto del Cristo fino all’altezza del perizoma, la mano sulla sinistra, i piedi e, sulla destra, la parte superiore del capo della Vergine (fig. 8).

 Fig. 9. Lacerto di affresco raffigurante la Crocifissione. 

Infine si notano delle tracce di affresco anche sull’architrave centrale sorretta dalle colonne e pilastri, tra i triglifi e le metope (fig. 10).

Fig. 10. Tracce di affreschi sull’architrave.

Bibliografia

Calo’ M., Cavalera M. “Appiedi! Sentieri e cammini del Salento”, Itinerarti Edizioni, Galatina (Le), 2019, pp. 71-75.

Bonfrate M., De Marco A., “Guida di Patù”, Taccuini di Vereto n. 5, Terra Archeorete del Salento, 2015.

Falla Castelfranchi M., “La chiesa di S. Giovanni Battista e le cosiddette «Centopietre» a Patù”, da “Puglia preromanica dal V secolo agli inizi dell’XI”, a cura di GIOIA BERTELLI, Edipuglia – Jacabook, Bari-Milano 2004, pp. 269-274.

Per approfondire

https://www.associazionearches.it/la-centopietre-di-patu-studi-di-pietro-cavoti/

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